Pennar

       

Al museo Le Carceri la Pop Art di Sergio Da Molin

  • 30 Ottobre 2024
  • Cultura e Spettacolo
  • Di Redazione

Inaugurazione venerdì 1 novembre alle 11

Venerdì 1° novembre alle 11:00 al Museo Le Carceri di Asiago, spazio di grande suggestione nel quale si instaura un originale connubio tra antico e contemporaneo, verrà inaugurata la mostra "POP ART: I HAVE SEEN THE BEST MIND OF MY GENERATION": una ricca esposizione di opere che andrà a sottolineare la personalità creativa e concettuale dell'artista padovano Sergio Da Molin, tra rivisitazioni e interpretazioni generazionali storico - sociali e artistiche.

La mostra rende omaggio a una delle forme d'arte più influenti del '900, che ha avuto come rappresentanti gli artisti americani Johns, Rauschenberg, Lichtenstein, Warhol e Segal, considerati i pionieri della POP ART. Da Molin, negli anni '70 fu uno dei primi ad accoglierne e sposarne artisticamente la filosofia e i modi espressivi attraverso la pittura, il teatro, la performance.

Le oltre cinquanta opere in mostra sono una sintesi del suo lungo cammino di ricerca: impronte di vita, icone laiche che non hanno tempo, corpi e oggetti fermati nell'attimo eterno della visione. Correva l'anno 1970, quando sei amici - artisti a Bari fondarono uno spazio artistico culturale "Centrosei". Un gruppo di giovani emergenti, carichi di idee e di voglia di condivisione, aperti a varie sperimentazioni nel campo delle arti visive. Da queste importanti radici inizia ad affermarsi l'arte di Sergio Da Molin, eclettico autore di opere d'arte dal gusto pop e di sperimentazioni informali.

Le sue opere eseguite con tecnica serigrafica e ibridate anche attraverso interventi plurimi con smalti e oli, portano con loro tutti quei simboli - icona della nostra contemporaneità legandosi con una grammatica di immagini collegate alla corrente artistica della POP ART ad un nuovo modo di concepire, a livello intellettuale, una corrente artistica apprezzata in tutti i tempi. L'artista cammina così passo a passo con il proprio tempo. Ciò che si vive nei suoi quadri è una sorta di tempo non tempo, un ponte che porta a suggellare l'arte nell'eternità.

La storia ripercorre sempre le stesse tappe, i personaggi cambiano nome, ci sono sfumature diverse, ma alla fine gli archetipi vengono sempre riproposti: il punto fondamentale e di basilare importanza per rendere l'originalità dell'idea sta nelle variazioni dettate dal suo intimo sentire e dalla sua insita nota di creatività. I colori che spiccano nella tavolozza di Da Molin sono: bianchi, blu e rossi, quasi volesse fare un omaggio indiretto sia all'America come all'Inghilterra e comunque a quell'ironia sottile anglosassone e che, seppur tagliente per certi versi, denuncia sempre il vero. Ogni tempo ha i suoi miti e le sue icone, i suoi punti meno forti e di maggior vigore che segnano il gusto e l'evoluzione di una società.

La POP ART in genere, almeno quella degli anni '50/'60 ricicla tutto ciò che è consumismo, in una pittura resa fredda data tanto dalla sintesi delle forme quanto dalla stesura del colore rendendo l'immagine risultante impersonale, come le immagini proposte dai mass - media. In Da Molin questo non accade perché, seppur proponga personaggi e oggetti a noi noti, li accosta tra loro o li ubica nella struttura ospitante, filtrandoli attraverso un personale modo di sentire e viverli nella propria quotidianità.

Una "pittura politica", nel profondo valore di questa parola che intreccia verità, coraggio, intensità, passione e il libero pensiero di Da Molin, artista del suo tempo, che raccoglie le ideologie di una storia ormai passata ma sempre viva, ricordando che negli anni '60 le interazioni favorevoli tra arte e musica determinavano quel Velvet Underground e quei meravigliosi e stimolanti salotti organizzati da Handy Wharol (ineguagliabile artista POP).

La sua espressione concettuale artistica va a denunciare i punti deboli della società. Il suo infaticabile lavoro psico - artistico - sociale rimane così un importantissimo documento di storia che attraverso le immagini racconta gli ultimi decenni di tendenza della società schiava di falsi miti, filtrata ma sempre e comunque collegata ai fiumi e tempeste di messaggi macchinati dai mass - media.

"Le trasformazione delle forme , i segni del colore dovranno avvenire attraverso una rappresentazione di immagini e situazioni estremamente pulite, riconducibili a situazioni vere, "underground" creative. Il cibo in scatola di Handy Warhol può sembrare metafisica, post moderna, ora con l'inserimento di una stella nel contenuto, è evidente che ( sta uscendo dal barattolo) il colore (rosso scuro) sangue con striature di blu, a rappresentare la bandiera americana. Il contenuto non è una stella che rappresenta la bandiera, bensì un amalgama che si versa e cola lungo una rappresentazione ricorrente in altre opere. Questo genere di lavoro artistico è pur sempre particolare, rivolgendosi agli altri interlocutori, mirando al cuore.

"POP ART: I HAVE SEEN THE BEST MIND OF MY GENERATION" è una sintesi di un lungo cammino di ricerca introspettiva: impronte di vita, icone laiche che non hanno tempo, corpi e oggetti fermati nell'attimo eterno della visione: una galleria di personaggi famosi e non, ma che hanno il diritto di essere ricordati e studiati anche dalle generazioni future.

Una visione del mondo che oggi più di ieri ha bisogno sicuramente di essere rivista e ridiscussa per offrire spunti importanti per immaginare il nostro futuro. Le icone laiche rappresentano figure immobili che osservano gli eventi; non hanno tempo e sono oltre lo spazio della storia, corpi e oggetti che si ergono con statuaria presenza. Immagini fissate come memoria senza passato e senza futuro, fermate nell'attimo eterno della visione che le fa apparire sulla scena" (da Wall Street International Magazine, 2020).

Progettazione, Curatela e Coordinamento mostra: Lucia Spolverini, Art Cultural Manager in collaborazione con il Dr. Giancarlo Goldin

RIPRODUZIONE RISERVATA
Autore

Redazione





POTREBBE INTERESSARTI ANCHE
Assicurazioni Beatrice

Etra

.

finstral